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Collare vs pettorina

autore:

Autore: Maurizio Albano, Medico Veterinario in Roma
Chirurgia generale e Chirurgia ortopedica


Negli ultimi anni c’è stata un’impennata nell’utilizzo della pettorina rispetto al collare. L’idea è che sia meno dannosa e ideologicamente meno oppressiva di quest’ultimo. Ma alcuni veterinari specializzati in medicina dello sport hanno notato che alcune pettorine creano delle limitazioni al movimento articolare in quei soggetti che le indossano costantemente, e da qui è nata la preoccupazione che le imbracature possano influire sull’andatura dei cani. Ricercatori del Regno Unito hanno esaminato la questione confrontando anche i diversi modelli delle pettorine. Ne esistono due categorie principali:

  • quelle che non sono considerate restrittive per i movimenti degli arti anteriori, che hanno una fascia toracica a Y;
  • quelle considerate restrittive, che hanno una cinghia sul petto orizzontalmente.

Nello studio fatto, nove cani sono stati messi sul tapis roulant e fatti muovere secondo due andature diverse, passeggiata e trotto, indossando diversi tipi di pettorina: un’imbracatura non restrittiva Mushing Harness X-back; un’imbracatura restrittiva Easy Walk. I ricercatori hanno collocato dei marcatori sui lati delle zampe dei cani e hanno utilizzato delle telecamere per misurare l’angolo della spalla quando l’arto anteriore era in massima estensione (in direzione craniale). Sono stati confrontati i diversi tipi di pettorine, restrittiva e non, tra di loro e con il classico collare, e alcuni risultati sono stati inaspettati.

Risultati dello studio

I risultati dello studio hanno messo in evidenza che:

  • i cani che indossano solo un collare hanno significativamente più estensione della spalla in ambedue le andature, passeggiata e trotto, rispetto ai cani che indossano entrambi i tipi di imbracatura;
  • i cani che indossano pettorine non restrittive hanno un movimento della spalla significativamente inferiore nell’estensione rispetto ai cani che indossano pettorine restrittive in entrambe le andature.

I ricercatori hanno anche esaminato l’effetto dei pesi aggiunti all’imbracatura, per simulare il cane che tira contro l’imbracatura. I pesi sono stati utilizzati in modo che l’imbracatura fosse tirata su e lontana dalla schiena del cane, con un angolo di circa 45°, proprio come verrebbe tirata l’imbracatura se una persona stesse camminando dietro al cane. I risultati, in questo caso, hanno dimostrato che:

  • i cani che camminano utilizzando pettorine non restrittive con pesi hanno significativamente meno estensione della spalla rispetto ai cani che indossano pettorine non restrittive senza pesi o rispetto ai cani che indossano imbracature restrittive con o senza pesi;
  • cani al trotto, utilizzando pettorine non restrittive con i pesi, hanno estensione della spalla significativamente inferiore rispetto ai cani che indossano pettorine restrittive con o senza pesi.

Una limitazione dello studio citato è che il loro sistema non è progettato per misurare la lunghezza del passo o della falcata o il tempo di presa di posizione, che possono influenzare l’estensione della spalla. Tuttavia, uno studio precedente ha esaminato questi parametri dimostrando che sia una pettorina non restrittiva che una restrittiva alterano la lunghezza del passo rispetto agli stessi cani che indossano solo un collare.

Perché l’imbracatura non restrittiva ridurrebbe l’estensione della spalla più dell’imbracatura restrittiva?

La pettorina non restrittiva non è perfettamente adattata alla morfologia del cane. Le cinghie che si trovano davanti alla scapola premono sulla stessa impedendone i movimenti anteriori (estensione). Una pettorina non restrittiva deve essere montata in modo che sia stretta intorno al collo del cane. In questo modo, quando il cane tira, la fascia toracica a forma di Y applica pressione al manubrio (la parte anteriore dello sterno) e le cinghie sul lato del collo non devono scivolare indietro per appoggiarsi alla scapola. Per la maggior parte dei cani, questo significa che la parte del collo dell’imbracatura deve essere regolabile e non deve scivolare sulle scapole.

In conclusione

Le imbracature sono ancora un’opzione sicura per i cani che hanno patologie come il collasso tracheale, paralisi laringea, malattia ostruttiva delle vie aeree o sindromi neurologiche. Però, come dimostrano i due studi, il buon vecchio collare risulta la scelta migliore per il rispetto della mobilità del cane rispetto alle due forme di pettorine attualmente in commercio per molti cani. Tuttavia, ricordiamo che è importante educare i cani a camminare senza tirare al guinzaglio. Se si sceglie di utilizzare un’imbracatura non restrittiva, bisogna assicurarsi che la stessa sia ben montata e stretta intorno al collo del cane, in modo che non scivoli indietro e non faccia pressione sulle spalle del cane. Se si sceglie di utilizzare un’imbracatura restrittiva, è necessario assicurarsi che sia montata in modo flessibile, quindi che possa scivolare via dalla spalla del cane, se necessario.


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Malattia cronica
della valvola mitrale


Autore: Manuel Felici, Medico Veterinario
Specialista in patologia e clinica degli animali d’affezione, perfezionato in cardiologia dei piccoli animali.


La malattia cronica della valvola mitrale rappresenta la patologia cardiaca acquisita più frequente nel cane. È determinata da una progressiva degenerazione fibrosa della valvola mitrale che può provocare prolasso della valvola con insufficienza mitralica.

La valvola mitrale separa e regola i flussi sanguigni nei due settori (atrio e ventricolo) sinistri del cuore, a una sua alterazione consegue quindi un rigurgito di sangue nell’atrio sinistro. Quando questo è di grado lieve, il cuore riesce a mettere in atto una serie di meccanismi compensatori per cui il cane non mostra nessun segno di scompenso; all’aumentare però della quota di rigurgito, nell’atrio sinistro cambiano gli equilibri pressori all’interno delle camere cardiache e si riduce inevitabilmente la gittata cardiaca, con possibile alterazione della normale frequenza cardiaca.

Considerando l’alta prevalenza di questa malattia nel cane ed essendo la causa più frequente di scompenso cardiaco in questa specie, la sua diagnosi precoce si rende imperativa.

In relazione alla predisposizione di razza (generalmente ad essere più colpite sono le razze di piccola taglia), dall’esame clinico e dalle indagini di diagnostica per immagini (radiologia ed esame ecocardiografico) i cani vengono classificati in quattro classi di gravità.

Alla visita clinica, l’unica alterazione che si può riscontrare inizialmente è un soffio cardiaco sistolico apicale sinistro, di intensità generalmente correlata alla gravità. La diagnosi, comunque, avviene esclusivamente mediante esame ecocardiografico che, integrato dall’esame color-Doppler, permette di studiare l’apparato valvolare e valutare il grado di rimodellamento delle camere cardiache, la percentuale di rigurgito, la sua velocità e le pressioni all’interno delle camere cardiache. Il tutto al fine di impostare un’adeguata terapia medica.

Vista l’iniziale fase completamente asintomatica, è sempre necessario non sottovalutare un soffio cardiaco riscontrato durante la visita clinica; spesso, infatti, quando compaiono i segni clinici della malattia, lo stadio è già molto avanzato.

Tra i segni clinici tardivi (di scompenso) più frequenti troviamo:

  • riluttanza al movimento;
  • affaticabilità;
  • tosse;
  • aumento della frequenza respiratoria (anche mentre il cane dorme).

In questa patologia, quindi, il binomio proprietario-medico veterinario è fondamentale, perché un proprietario attento riesce ad accorgersi di tutte queste alterazioni nel proprio cane e prontamente può condurlo in visita da uno specialista.

Lo scompenso cardiaco di questa malattia esita nell’edema polmonare, che rappresenta una vera e propria emergenza: il cane ha una progressiva difficoltà respiratoria che, se non trattata tempestivamente, può portarlo alla morte.


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Il colpo
di calore nel cane


Autore: Giulia Principi, Medico Veterinario
(Master di II livello in Nutrizione clinica del cane e del gatto)


Il colpo di calore sopraggiunge quando i meccanismi di termodispersione non possono far fronte a un aumento eccessivo della temperatura corporea.

In estate è un evento grave che può insorgere a causa delle alte temperature (per esempio, animali in automobile in sosta al sole o passeggiate nelle ore più calde).

Ci sono alcune condizioni che aumentano il rischio di insorgenza:

  • paralisi laringea;
  • sindrome brachicefalica;
  • patologie cardiovascolari.

Il colpo di calore conduce a una disfunzione multiorgano grave e alla morte se non trattato tempestivamente. La temperatura critica che porta a una disfunzione è 42,7°C, per l’instaurarsi di un danno termico con conseguente necrosi cellulare, ipossiemia e denaturazione delle proteine.

I segni clinici possono essere molteplici:

  • ansimazione;
  • ipersalivazione;
  • tachicardia;
  • tremori muscolari;
  • distress respiratorio;
  • mucose iperemiche;
  • cianosi

Durante il trasporto presso la struttura veterinaria più vicina si può promuovere la termodispersione del calore tamponando con dell’alcool i cuscinetti plantari, il cavo ascellare e la zona inguinale. Bisogna invece evitare di porre l’animale in acqua fredda e/o utilizzare ghiaccio poiché l’ipotalamo lo interpreterebbe come freddo inducendo vasocostrizione e dunque diminuendo la termodispersione, peggiorando la situazione.

In conclusione, evitare di lasciare gli animali all’interno dell’automobile, evitare lo sforzo intenso e le passeggiate nelle ore più calde.


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La-Dermatofitosi-meglio-conosciuta-come-tigna.jpg


La Dermatofitosi, meglio conosciuta come tigna

autore:

Marianna Filareto, Medico Veterinario in Roma
Specializzanda in Malattie infettive, profilassi e polizia veterinaria


Vetrino di Microsporum canis al microscopio.
Vetrino di Microsporum canis al microscopio.

Le micosi sono patologie molto diffuse, anche se ancora sottodiagnosticate. La dermatofitosi è una dermatosi micotica causata da funghi filamentosi che digeriscono la cheratina. I generi più diffusi responsabili di questa patologia sono il Microsporum, il Trichophyton e l’Epidermophyton. In base al loro habitat, questi funghi si differenziano in:

  • Zoofili: vivono e si moltiplicano sul mantello animale. Tra questi i più comuni sono il Microsporum canis, che costituisce una zoonosi (è trasmissibile all’uomo) e colpisce il cane e il gatto; il Trichophyton mentagrophytes, che copisce roditori e cammelli; il Microsporum persicolor, che colpisce piccoli roditori e cani;
  • Geofili: vivono e si riproducono nel suolo; tra questi il più comune è il Microsporum gypseum, isolato nel cane e nel cavallo.
  • Antropofili: vivono e si riproducono sull’uomo; tra questi il più comune è il Trichophyton rubrun.

Le dermatofitosi sono più frequenti nei periodi caldi e in ambienti umidi; anche bagni eccessivi o eccessiva pulizia dell’animale possono predisporre all’insorgenza di una micosi, in quanto vengono rimosse le barriere cutanee naturali, come il sebo, le cellule morte superficiali, ecc. Nel gatto è stata ipotizzata una correlazione tra infezione dermatofitica e FIV e Felv, ma il dato potrebbe dipendere dal tipo di vita dei soggetti infetti, spesso randagi o conviventi in grandi collettività.

 

Trasmissione

Sono malattie contagiose, facilmente trasmissibili sia per via diretta, mediante contatto tra animali, sia per via indiretta, attraverso il contatto con superfici od oggetti contaminati dalle spore infettanti di questi organismi. Le micosi costituiscono importanti zoonosi, patologie che si possono trasmettere dagli animali all’uomo. Il contagio avviene in genere in soggetti stressati o immunodepressi, con scompensi endocrini, condizioni organiche carenziali, carenze vitaminiche, alterazioni del derma o in conseguenza di un calo delle difese immunitarie. Fattori predisponesti sono anche prolungate terapie antibiotiche o cortisoniche.
La trasmissione avviene mediante contatto diretto tra animale infetto e individuo recettivo, oppure mediante contatto indiretto attraverso le spore che sono forme di resistenza del fungo presenti nell’ambiente. Pertanto anche se sono stati registrati casi di guarigione spontanea, le dermatofitosi richiedono un trattamento tempestivo. Oggi la specie animale più recettiva è il gatto, importante in quanto facilmente può fungere da portatore asintomatico.
Inoltre, non solo gli animali possono trasmettere funghi all’uomo, viceversa le dermatofitosi dell’uomo possono essere trasmesse dal proprietario all’animale (dermatofiti antropofili).

Cause predisponenti

I soggetti più predisposti ad infezioni funginee sono:

  • soggetti molto giovani, che pare abbiano una concentrazione di acidi grassi inferiore nel sebo e quindi sono maggiormente predisposti, così come i soggetti più anziani che hanno un sistema immunitario meno efficiente;
  • soggetti debilitati da malattie concomitanti (FIV, Felv, ecc);
  • soggetti malnutriti;
  • soggetti che presentano parassitosi intestinali;
  • soggetti stressati o che vivono in condizioni di sovraffollamento: gattili, canili, colonie;
  • soggetti con immunodepressione indotta da farmaci: chemioterapia (anche nell’uomo) e terapie cortisoniche;
  • soggetti che presentano lesioni cutanee da morso di animali o lesioni da grattamento, ectoparassiti e lesioni indotte dal loro morso;
  • soggetti sottoposti a lavaggi troppo frequenti e con prodotti non idonei, come l’utilizzo troppo frequente di salviettine disinfettanti, prodotti che alterano il ph cutaneo, ecc.;
  • soggetti a pelo lungo (Yorkshire Terrier, gatti Persiani).

Sintomi

La dermatofitosi è una malattia pleomorfa e non può essere diagnosticata basandosi esclusivamente sui rilevamenti clinici. Il periodo di incubazione è di circa 2-4 settimane. Si tratta primariamente di una malattia follicolare e i principali segni clinici comprendono:

  • la perdita del pelo;
  • la produzione di scaglie e di croste;
  • prurito variabile.

Alcuni pazienti sviluppano la lesione tipica ad anello, caratterizzata dalla zona centrale alopecica e alla periferia papule follicolari e infiammazione. Le lesioni possono essere singole o multiple e localizzate in qualsiasi parte dell’animale, anche se le parti anteriori del corpo e la testa sembrano essere più frequentemente coinvolte. Nel gatto sono localizzate soprattutto a livello del dorso del naso, sui margini auricolari, sulla porzione distale degli arti e sulla coda. Nel cane si localizzano soprattutto su dorso del naso, aree perioculari, margine auricolare. Nel cane può svilupparsi una lesione particolare, detta “kerion”, lesione nodulare, edematosa e umidiccia, che trasuda materiale purulento.

In animali in buono stato di salute, la lesione è autolimitante e si risolve da sola nel giro di qualche settimana. Altri animali, però potrebbero avere una risposta esagerata all’infezione, una reazione di tipo allergico, del tutto soggettiva e che può determinare la gravità o meno e differenza di lesioni presenti da un soggetto ad un altro. Nel gatto, in particolare, è stata segnalata una forma particolare di dermatofitosi, detta “dermatofitosi granulomatosa sottocutanea”. Questo tipo di lesione sembra essere più comune nei gatti persiani e si è ipotizzato che possa essere associata ad un alterato stato immunitario. Il processo inizia come una follicolite micotica che evolve in una dermatite granulomatosa nodulare o diffusa a carico del derma profondo e del sottocute che prende il nome di pseudomicetoma.

Diagnosi

La diagnosi di dermatofitosi richiede, oltre all’esame fisico del paziente, anche di alcune procedure diagnostiche effettuate solo dal veterinario. Un metodo efficace è l’utilizzo di una lampada a raggi UV che, illuminando il pelo, può mettere in evidenza il 50% delle specie di M. Canis, ma non delle altre specie, che infestano cani e gatti, grazie alla loro capacità di luminescenza. Esiste, tuttavia, il rischio di falsi negativi.

Il veterinario può quindi procedere ad una analisi microscopica delle lesioni. Si procede con un prelievo dei peli e si osservano al microscopio.
Il test in assoluto più sicuro è un prelievo di peli da mettere in coltura in terreni specifici, non sempre presenti nelle strutture veterinarie. Il fungo impiegherà dai 7 ai 45 giorni, a seconda della specie, a crescere e poi potrà essere tipizzato in base alla forma e caratteristiche che presenta oltre a poter poi essere osservato microscopicamente.

 

Trattamento

La dermatofitosi, in condizioni di buona salute, spesso va incontro a remissione spontanea dei sintomi e si risolve completamente entro tre mesi. La risposta immunitaria può essere sufficiente al controllo delle lesioni cutanee causate dai dermatofiti.

Tuttavia, ogni qual volta si riscontri un’infezione da dermatofiti è raccomandato il trattamento antifungino per ridurre le possibilità d’infezione per altri animali e per l’uomo e la disseminazione delle forme infettanti nell’ambiente.

Il trattamento, topico o sistemico a seconda delle lesioni, viene improntato dal medico veterinario.

 

Trattamento ambientale e prevenzione

Il materiale infetto disperso nell’ambiente può rimanere infettante per molto tempo, anche per anni. La decontaminazione ambientale comprende un’accurata pulizia e l’applicazione di agenti disinfettanti nell’ambiente coinvolto. È buona norma isolare gli animali malati o con infezione sospetta; pulire, lavare e disinfettare accuratamente l’ambiente con soluzioni di ipoclorito di sodio allo 0,5% o formaldeide e lavare tappeti, moquette, divani con strumenti a vapore a 100°.

Per quanto riguarda l’uomo, nella prevenzione delle dermatofitosi, è di fondamentale importanza il rispetto delle norme igienico-sanitarie di base. Nei confronti delle dermatofitosi di origine zoonosica, molto efficace, ai fini della prevenzione del contagio, è l’igiene personale e, in particolare, lavarsi le mani con sapone, preferibilmente a base di zolfo, dopo ogni contatto con animali infetti o con oggetti con cui questi animali possono essere entrati in contatto.


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Filariosi nel cane e nel gatto: una malattia sottovalutata

autore:

Marianna Filareto, Medico Veterinario in Roma
Specializzanda in Malattie infettive, profilassi e polizia veterinaria


Le filarie sono nematodi, detti anche vermi cilindrici, che colpiscono il tessuto connettivo (subito sotto il derma e fortemente vascolarizzato) e il sistema circolatorio del cane e del gatto.

Lo sviluppo delle filarie

Per sviluppare a parassita adulto, le microfilarie necessitano di una fase di crescita in un dittero ematofago, ossia in un insetto che si nutre di sangue (come svariate specie di culicidi, zanzare), che funge da ospite intermedio. Assunte dalla femmina del dittero durante il pasto di sangue, dopo circa 24 ore le microfilarie si trasformano in larve primarie (L1); dopo circa 10 giorni le larve primarie si allungano e diventano larve di secondo stadio (L2); la muta a terzo stadio (L3) avviene in tredicesima giornata. Le L3 poi vengono inoculate in un altro ospite (cane o gatto) tramite saliva e migrano nel sottocute (per alcuni giorni) e fanno due mute, fino alla stadio L5, e passano in circolo; in 3-4 mesi raggiungono la sede definitiva (arteria polmonare) e qui diventano adulti infetti, maschi e femmine, che si accoppiano in 120 giorni. Il periodo completo che intercorre tra il momento dell’infestazione da parte del dittero e la maturità sessuale (detto tempo di prepatenza) è di 6 mesi, dopo di che i parassiti possono rimaner vitali e produrre microfiliarie fino a 5 anni. Le microfiliarie prodotte dalle femmine gravide, per un fenomeno di “tropismo centrifugo”, tendono a portarsi nei vasi periferici e, durante la migrazione, alcune di esse possono superare la barriera placentare e passare per via congenita dalla cagna ai cuccioli, dove comunque non possono diventare adulte, in quanto non hanno effettuato il passaggio nell’ospite intermedio. La Dirofilaria immitis è la più patogena, responsabile della filariosi cardiopolmonare del cane e del gatto, invece la Dirofilaria repens è responsabile di una forma sottocutanea.

Mentre nel cane le microfilarie possono sopravvivere fino a 7 anni, il gatto è considerato un ospite suscettibile, ma non ideale per il parassita, in quanto il carico parassitario è basso e la sopravvivenza limitata.

Nel nostro paese l’epicentro è rappresentato dalla pianura Padana, anche se, negli ultimi decenni, si è diffusa a macchia d’olio, probabilmente anche a causa dei frequenti spostamenti cui sono sottoposti i cani da caccia nel corso della stagione venatoria e dei viaggi di piacere sempre più frequentemente intrapresi in compagnia dei nostri amici a quattro zampe. Le aree più a rischio sono: Lombardia, Piemonte e Veneto meridionali, Liguria orientale, Toscana centro-settentrionale ed Emilia Romagna, anche se non mancano casi in altre zone della penisola.

La malattia nel cane

Ha un decorso cronico e asintomatico; i segni clinici insorgono gradualmente e possono essere rappresentati da tosse cronica, dispnea, debolezza, sincopi. Solo negli stadi avanzati possono essere presenti edema a carico dell’addome, degli arti, anoressia, perdita di peso, disidratazione. L’animale affetto da filariosi, dunque, manifesta una sintomatologia quasi del tutto equiparabile a quella dell’insufficienza cardiocircolatoria. Con il trascorrere del tempo si assiste infine al cattivo funzionamento del fegato e dei reni, seguito – in caso di mancato intervento – dal decesso dell’animale.

La malattia nel gatto

È in genere asintomatica per lungo tempo e può in seguito presentare una sindrome acuta, improvvisa, caratterizzata da tosse, dispnea, emottisi, vomito, perdita di peso, aumento della frequenza cardiaca, cecità, convulsioni, collasso e morte. I danni causati dalla presenza dei parassiti adulti nel ventricolo destro sono ancora più evidenti nella specie felina, considerate le ridotte dimensioni del cuore del gatto, per cui è sufficiente la presenza di poche filarie per provocare importanti segni clinici nel gatto rispetto al cane.

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Diagnosi e cura della filariosi

Basta un semplicissimo test ematico in grado di rilevare la presenza delle microfilarie nel sangue o degli antigeni delle femmine adulte in campioni di siero o sangue. Talvolta anche una radiografia può essere diagnostica, negli stadi più avanzati, che consente di visualizzare un aumento di diametro delle arterie polmonari, patterns polmonari anomali o, nei casi più critici, lo sfiancamento del cuore destro. Con l’ecocardiografia possiamo invece evidenziare direttamente la presenza di parassiti nel cuore, nelle arterie polmonari o nella vena cava.

Prima di intraprendere il trattamento specifico, tuttavia, è di fondamentale importanza effettuare una serie di indagini diagnostiche collaterali, al fine di valutare con accuratezza lo stadio di gravità della patologia. Sulla base dei risultati ottenuti, è poi possibile intraprendere il protocollo terapeutico più indicato, in funzione del singolo caso.

La terapia si fa in base alla classe del cane affetto da filariosi. Ci sono tre classi:

  1. Soggetti asintomatici: hanno bassa microfilariemia e basso titolo anticorpale. Si danno farmaci adulticidi e la prognosi è fausta, le complicanze dopo il trattamento sono scarse.
  2. Soggetti con sintomatologia lieve: tosse occasionale, scarsa resistenza agli sforzi, rumori respiratori, test antigenici medio alti. Si può fare trattamento con adulticidi a cui però vanno addizionati farmaci antitrombotici.
  3. Soggetti con grave sintomatologia: insufficienza cardiaca destra, dispnea, tosse anche a riposo, dimagrimento e test antigenici molto alti. Di solito questi soggetti non si trattano; possono essere sottoposti a una terapia sintomatica per tamponare l’insufficienza cardiaca.

Le terapie attualmente consigliate per il cane sono tre:

  1. Eliminazione degli adulti con Melarsonina Diidrocloruro: dopo un primo trattamento intramuscolo nella regione lombare, si ripete dopo 50-60 giorni usando la dose completa, con due somministrazioni a distanza di 24 ore. Si tratta di un farmaco epatotossico e gli adulti morti possono provocare tromboembolismo e interferire con i processi coagulativi, per cui si associa ad Eparina e Glucocorticoidi e si esclude l’esercizio fisico nei 30-40 giorni successivi il trattamento.
  2. Associazione di Ivermectina, ogni 15 giorni per 180 giorni, e Doxiciclina, per 30 giorni; questa recente associazione sembra avere un buon effetto adulticida e riduce il rischio di tromboembolismo; esercizio fisico vietato per l’intero periodo del trattamento. NB: nel Collie si usa Milbemicina.
  3. In casi gravi si può fare terapia chirurgica passando per la vena giugulare per eliminare i vermi adulti.

 

La terapia adulticida nel gatto non è consigliata per l’elevato rischio di tromboembolismo. Nei gatti con grave sintomatologia sono consigliati dosaggi elevati di Prednisolone.

Profilassi antiparassitaria

Per quanto riguarda la profilassi, la ricerca farmacologica ha messo a punto da una serie di principi attivi efficaci e scevri di controindicazioni, da somministrare ai nostri animali una volta al mese per tutta la durata della stagione delle zanzare (mediamente da aprile-maggio fino a ottobre-novembre). Assumendo il farmaco con regolarità, cani e gatti, anche se punti da zanzare portatrici di larve infestanti, non sviluppano la malattia. Ciò è particolarmente importante nella specie felina, per la quale – come già detto – non è possibile attuare un trattamento terapeutico mirato nei confronti della Dirofilaria immitis.

Prima di cominciare la terapia preventiva, però, è indispensabile accertarsi che i soggetti risultino negativi alla malattia, per cui è bene eseguire un esame del sangue prima di iniziare la profilassi. E se dovete spostare il vostro amico a quattro zampe in una zona endemica, è necessario iniziare il trattamento entro 30 giorni dall’esposizione.

Anche l’uomo può essere colpito. È principalmente la Dirofilaria repens la responsabile di infestazioni umane, con localizzazione prevalentemente sottocongiuntivale, polmonare, mesenterica e intradurali e possono essere confuse con forme tumorali. Tuttavia, l’infestazione nell’uomo è probabilmente sottostimata vista la scarsa conoscenza medica in ambito medico.

È importante ricordare che la filariosi può manifestarsi anche a distanza di mesi rispetto al momento del contagio, ed è bene perciò eseguire periodicamente un test di controllo presso il veterinario di fiducia.


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L’eliminazione impropria. Un “dispetto” del gatto in casa

autore:

Autore: Luca Buti, Medico veterinario in Roma
Master di II livello in Medicina Comportamentale degli animali d’affezione


Un “dispetto” molto comune dei nostri gatti che vivono in casa e l’eliminazione impropria, cioè l’emissione di urina e/o feci in luoghi diversi dalla lettiera, come possono essere il letto del proprietario, il divano, le scarpe lasciate a terra, gli abiti del proprietario, oppure su superfici piane, come tappeti, pavimento, box della doccia o verticali come zampe del tavolo, braccioli del divano, montanti delle porte o finestre.

Parlare di dispetto è sbagliato

Nell analizzare, questo particolare comportamento è doveroso, in primo luogo, fare una premessa: il gatto appartiene all’Ordine dei carnivori, al quale appartengono animali che hanno un sistema di apprendimento e comportamentale associativo; vale a dire che, a un particolare stimolo, essi associano una determinata risposta, che diverrà tanto più certa quante più volte, al presentarsi di quello stimolo, si associerà quella precisa risposta. Il concetto di dispetto, cioè compiere una determinata azione con l’intento di procurare un danno a qualcuno, invece presume un sistema di apprendimento e comportamentale sillogico, tipico della specie umana che, ad esempio, emetterebbe urina o feci in luogo improprio per costringere qualcuno a pulire o in segno di disprezzo. Quindi, parlare di “dispetto”, come spesso viene riferito dai proprietari, è assolutamente sbagliato e il concetto andrebbe rivisto.

Osservare il problema

Ciò premesso, analizziamo questa anomalia comportamentale in modo scientifico, seguendo quindi uno schema che tenga conto del pattern comportamentale tipico della specie gatto, articolato in:

  1. osservazione del problema;
  2. individuazione delle possibili cause;
  3. messa in atto dei rimedi.

Iniziamo con l’osservare e, se possibile, annotare il tipo di urinazione. Esistono tre tipi di urinazione:

  • Eliminazione urinaria normale (il gatto assume una posizione arcuata, la coda è orizzontale ed esce una grande quantità di urina tutta in una volta su una superficie orizzontale).
  • Cistite (infiammazione della vescica e delle vie urinarie): in questo caso la posizione sarebbe la stessa, ma l’eliminazione dell’urina è in piccole quantità, anche se a volte i maschi possono eliminarla in piedi.
  • Marcatura urinaria: in questo caso il gatto (di solito i maschi, ma anche le femmine possono farlo) sta in piedi, con la coda sollevata ed espelle una piccola quantità di urina spruzzandola, come se fosse uno spray, su una superficie verticale.

Osservando questi tre tipi di urinazione, balza subito all occhio che, prima di parlare di dispetto del nostro gatto, dovremmo rivolgerci al Medico Veterinario di fiducia che eseguirà la visita e tutti gli esami necessari per escludere che si tratti di un problema fisiologico.

Individuare possibili cause

Una volta appurato che non sussistono patologie del tratto urinario, occupiamoci dell’aspetto comportamentale. Nella ricerca delle cause consideriamo sostanzialmente due possibili eziologie; la prima è certamente la lettiera. Il tipo di sabbietta, troppo farinosa o troppo dura, polverosa o, come quasi sempre accade, cambiata troppo poco frequentemente e, quindi, maleodorante e spesso con residui di feci o urina agglomerata. Importante per il nostro gatto è anche la posizione della lettiera stessa nella casa: lui ama essere riservato nell’espletare i suoi bisogni, quindi una lettiera posta in un punto della casa di passaggio o in un terrazzo molto aperto, non riparato, non lo stimolerà particolarmente. Teniamo in considerazione anche le dimensioni e la forma della lettiera: un Main Coon non amerà di certo una lettiera di 15×15 cm, cosi come un gatto anziano, magari sofferente di artrosi, non prediligerà di certo una lettiera alta 30 cm.
La seconda possibile causa da considerare è lo stress, termine di sicuro spesso abusato, ma qui inteso come stato di non tranquillità dovuto a innumerevoli possibili cause; dall’assenza frequente del proprietario, all’impossibilità di raggiungere una meta ambita, come il giardino o il terrazzo ad esempio, alla presenza, magari iprovvisa e non gradita, di un altro animale o persona in casa, al cambiamento di un ambiente o dell’intero appartamento, ecc.

Mettere in atto il rimedio

Una volta individuata la causa, va da sé che i rimedi vadano correlati e siano atti a contrastare le possibili cause analizzate fin qui.
Questo schema terapeutico può prevedere delle correzioni ambientali e/o l’uso di farmaci che, è bene sottolinearlo, possono essere prescritti e posti in essere o somministrati esclusivamente da un Medico Veterinario specialista.
Se teniamo conto di tutto quanto finora esposto, di certo non vedremo più il nostro amato micio come un “dispettoso” irriconoscente essere che desidera complicarci la vita, ma come un essere assolutamente senziente che sta vivendo un disagio, fisico o “psichico”, così forte da spingerlo a fare quello che un micio in condizioni normali non farebbe mai: sporcare in un luogo improprio. Ricordiamoci sempre che tutti gli animali, in condizioni naturali, amano esser puliti e vivere in un ambiente pulito, e tra questi il gatto è di certo il capofila!


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Piante, fiori ed erbe tossiche
per i nostri animali

autore:

Marianna Filareto, Medico Veterinario in Roma
Specializzanda in Malattie infettive, profilassi e polizia veterinaria


Le piante non solo abbelliscono le nostre case, ma riducono l’inquinamento, rendendo l’ambiente più salubre per l’uomo e per gli animali. Tuttavia, quando si progetta di adornare casa con piante (soprattutto esotiche), è bene conoscere quelle pericolose per i nostri amici a quattro zampe. L’ingestione o anche semplicemente il contatto con alcuni fiori ornamentali, piante da appartamento o arbusti da giardino può essere molto pericoloso e addirittura fatale. I soggetti più a rischio sono i cuccioli, che nel periodo della dentizione tendono a cercare sollievo mordendo ogni cosa, ma anche i gatti, che amano rosicchiare foglie e fiori per attirare l’attenzione o per bisogno di depurarsi.

Le piante più pericolose per il cane e il gatto sono:

  • Piante natalizie: la Stella di Natale è la prima incriminata, le sue foglie rosse possono provocare, sia nel cane che nel gatto, irritazione oculare, cheratiti, lacrimazione, congiuntiviti, stomatiti, vomito, scialorrea, diarrea. La prognosi è in genere favorevole con risoluzione dell’intossicazione. La seconda incriminata è l’Agrifoglio, pericolosa anche per l’uomo: le bacche rosse, se ingerite dal cane, possono provocare ipersalivazione, affaticamento, sintomi gastro-enterici per la presenza in esse di saponine, metilxantine e cianogeno, tutte sostante nocive. Attenzione anche al Vischio, le cui bacche sono ricche di alcaloidi che possono provocare vomito, atassia, midriasi, poliuria, ipotensione e morte per arresto cardiocircolatorio.
  • Piante tropicali: l’Abro, pericolosa soprattutto per il cane che, ingerendo i suoi semi contenenti abrina, può presentare debolezza, inappetenza, febbre e apatia; ma anche la Cycaris revoluta, pianta che può causare un’intossicazione piuttosto grave, con gastroenterite emoraggica, danni epatici, insufficienza renale, coagulopatie e la morte; lo Spatifillo, il cui stelo genera problemi gastroenterici, anche se in alcuni casi provoca emorragie e problemi respiratori; e infine il Filodentro, che può dare edema inguinale, stomatite, problemi respiratori.
  • Piante bulbose: l’Amarillide è tutta velenosa per il cane e i sintomi più importanti sono vomito, diarrea e coliche; in alcuni casi, potrebbe causare crampi, alterazioni del battito cardiaco e tremori. Anche l’ingestione di Ciclamino può provocare vomito e diarrea, a volte anche convulsioni se assunto in dosi massicce. Il cane può essere particolarmente incuriosito anche dalla forma dell’Iris, ma attenzione: può generare problemi gastroenterici. Attenzione anche al Tulipano: se i fiori vengono ingeriti, si avranno sintomi di natura gastroenterica, ma non gravi per il tuo cane. Infine prestate attenzione al Colchico: l’ingestione del bulbo o dei semi può dare collasso, paralisi muscolare e respiratoria e morte. Una pianta letale anche per gli esseri umani.
  • Piante coltivate: prima fra tutte l’Aglio, anche solo uno spicchio può intossicare il cane, che presenterà sintomi quali vomito, diarrea, anemia, ittero e sangue nelle urine. Attenzione anche alla Canapa: se ingerita, causa vomito, ipotermia, scialorrea, midriasi e nistagmo. Risaputa ormai la tossicità della Cipolla: se assunta in quantità discrete, genera anemia per emolisi e sangue nelle urine. Anche l’Erba medica può essere causa di dermatiti se il cane ne viene a contatto. Anche l’ingestione del Fagiolo comune crudo può provocare diarrea, gastroenterite e anoressia, così come della Fava, con cui il cane rischia problemi gastroenterici, febbre, ittero, pallore e un incremento del volume di fegato e milza. Anche l’ingestione di Lino può provocare crampi, vomito, tremori, alterazioni del ritmo sia respiratorio che cardiaco. Infine la Nicotiana: se ingerita, provoca dolori addominali, vomito, diarrea emorragica, bradicardia, problemi neurologici, ipersalivazione e letargia.
  • Piante ornamentali: tra le più comuni nei climi caldi e secchi abbiamo l’Aloe le cui foglie, contenenti un composto chiamato barbaloina, possono causare diarrea sanguinolenta e incremento dell’urinazione nel cane. Con l’ingestione dell’Anemone il cane rischia problemi gastrointestinali e, se assunta in grandi quantità, depressione respiratoria. Le foglie dell’Anturio possono dare sintomi quali diarrea, emorragie, vomito e difficoltà respiratorie. Molto diffusa nelle nostre abitazioni è l’Azalea: l’ingestione delle sue foglie può causare vomito, coliche, diarrea, depressione, nausea, tachipnea, scialorrea e anoressia. La Begonia è una pianta che nel suo insieme può generare intossicazioni nel cane, con gastroenterite facilmente risolvibile. Il Bosso è anch’essa una pianta molto tossica per il cane: può causare nausea, dolori addominali, vomito, scialorrea e può dare anche problemi cardiaci e respiratori. Una pianta che può essere pericolosa anche solo al contatto è la Calta palustre, che può dare dermatite nel cane. Attenzione soprattutto alla Cannabis sativa (Marijuana) che negli animali da compagnia può dare depressione del sistema nervoso centrale, incoordinazione, vomito, diarrea, aumento della frequenza cardiaca, convulsioni e coma. Anche tutte le parti del Crisantemo possono essere tossiche, soprattutto per il gatto, in quanto contengono piretrine, che possono dare disordini gastroenterici o sintomi più gravi quali depressione e incoordinazione. Particolarmente pericolose anche le foglie e il fusto del Croton, simile alla Magnolia, che può dare nel cane febbre, eczemi, vomito, coliche e diarrea sanguinolenta. La Dafne, pianta ornamentale sempreverde, se assunta dal cane può causare bruciore alla bocca, stato d’incoscienza con episodi convulsivi, diarrea sanguinolenta, coma e morte. Altro arbusto sempreverde, le cui foglie, radici e fusto possono essere tossici per il cane, è la Dieffenbachia: i sintomi sono piuttosto gravi, ma solo se c’è tumefazione laringea, con edema linguale, salivazione eccessiva, stomatite, problemi all’apparato digerente e problemi renali. Anche l’Edera, diffusa in tutta Italia, e l’Elleboro, possono causare nausea, diarrea, vomito, problemi respiratori, coma e perfino morte. Pericoloso anche il Ficus, che può causare sintomi gastroenterici, come vomito e diarrea. L’ingestione delle foglie e del bulbo del Giglio può causare nel cane vomito, inappetenza e apatia. Anche il Glicine, se il cane ne ingerisce i semi o i baccelli, può portare diarrea, forte vomito e dolori di carattere addominale. Il contatto con la Monstera può causare dermatiti o edemi a labbra e lingua; inoltre, genera ipersalivazione, problemi nella deglutizione, vomito, diarrea e, a volte, emorragie gengivali. Anche il Mughetto può essere particolarmente velenoso per il cane e causare diarrea, aritmie, vomito, crampi e problemi respiratori. Diffusissimo nei nostri giardini anche l’Oleandro, le cui tossine possono causare arresto cardiaco nel cane, ma anche nell’uomo. Sui nostri balconi non di rado possiamo trovare anche l’Ornitogallo: se il cane ne ingerisce il bulbo, può manifestare vomito, perdita d’appetito, apatia, insufficienza renale ed epatica. Non tutti sanno che anche i fiori della Primula possono essere pericolosi, soprattutto nel gatto, dove può dare sintomi gastroenterici e dermatiti da contatto. Attenzione anche al Rododendro, spesso confuso con l’Azalea, le cui foglie possono causare nausea, salivazione eccessiva, depressione, vomito, diarrea, coliche e problemi renali ed epatici. Pericolose anche le bacche del Solano, che causano gastroenteriti emorragiche, dolori addominali e problemi neurologici. Infine, attenzione anche alle siepi di Tasso, detto anche “pianta della morte”: l’ingestione di foglie, semi, legno e corteccia provocano tachicardia, bradicardia, problemi respiratori, modifiche della minzione, pupille dilatate, tremori che anticipano la depressione, morte dovuta a paralisi cardiaca o respiratoria.
  • Piante selvatiche: tra le intossicazioni più comuni abbiamo quella dell’Acetosa, che se assunta dopo la fioritura delle foglie, può provocare insufficienza renale nel cane. L’Arum Maculatum, che può provocare turbe del ritmo cardiaco. L’Atropa Belladonna: spesso impiegata per realizzare cosmetici, se ingerita dal cane può dare tachicardia, coma e paralisi del sistema nervoso parasimpatico. Comune nel nostri giardini la Bella di Notte, che contiene sostanze alcaloidi, resine e arabinosio che possono provocare nausea, vomito e dolori addominali, dermatite, aborto e perfino stati confusionali e pupille dilatate. Pianta velenosa per eccellenza la Cicuta: può condurre alla morte con sintomi neuromuscolari. Datura: può causare problemi alla vista, crisi di panico, aritmie, disorientamento, nausea, convulsioni e addirittura la morte. Particolarmente insidiosa anche la Digitale, tossica in tutte le sue parti, compresa l’acqua che viene a contatto con essa: se assunta in grandi quantità provoca aritmie piuttosto serie. Pianta erbacea velenosa è anche il Giusquiamo, che causa repentinamente incoscienza e morte, con grave scompenso cardiaco. Attenzione anche ai frutti e alle foglie del Lauroceraso, che contengono acido cianidrico, che causa anossia citossica, convulsioni, coma e morte. Negli ambienti temperati e umidi prestare attenzione anche ai fiori, ai semi e alle radici del Maggiociondolo: se ingeriti, possono provocare problemi allo stomaco, vomito e riduzione dell’assorbimento gastro-enterico. Attenzione anche alla pianta “magica” allucinogena per eccellenza, la Mandragora: i semi, se ingeriti, possono causare nel cane ipertensione, febbre, perdita di coscienza e insufficienza renale in pochissimo tempo. I semi del Noce vomica o albero della Stricnina sono molto velenosi e causano convulsioni violente, contrazioni tetaniche e paralisi respiratoria. Infine attenzione, nel cane, al Ricino: i semi di questa pianta, che contengono una fitotossina e un alcaloide, generano sintomi nell’arco di 18-24 ore, con gastroenterite, febbre, sete, ipertermia, edema buccale e della lingua, dolori colici e danni renali di grave entità. In alcuni casi possono giungere convulsioni e morte.

Se, nonostante tutte le precauzioni, sospettate che il vostro cane o gatto abbia ingerito una di queste piante non inventate manovre di soccorso: l’unica mossa sicura è recarsi subito dal veterinario!


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L’ipertiroidismo nel gatto:
prevenirlo e curarlo

autore:

Giulia Principi, Medico Veterinario in Roma
Master di II livello in Nutrizione clinica del cane e del gatto


Negli animali, così come nell’uomo, non vi è alcun organo o tessuto che non risenta dell’azione degli ormoni prodotti dalla tiroide, una ghiandola endocrina situata a livello dei primi anelli della trachea. Un’alterazione della produzione di questi ormoni, infatti, determina numerosi effetti nell’organismo. L’ipertiroidismo è uno di questi: si tratta di una patologia caratterizzata dall’eccessiva secrezione di ormoni tiroidei (iodotironine). Nell’uomo questa patologia riveste una discreta importanza ed è causata comunemente da un’iperplasia primitiva della tiroide o da un nodulo iperfunzionante, da un tumore in genere benigno o da una tiroidite di Hashimoto.

Nel gatto è, invece, una patologia con una frequenza decisamente superiore rispetto alle altre specie, tanto da essere considerata il più frequente disturbo endocrino in soggetti che vanno dagli 8 ai 18 anni di età. È causata, nella maggior parte dei casi, circa il 90 per cento, da un’iperplasia della ghiandola o da un adenoma (tumore benigno) e, solo nel 2 per cento circa dei casi, da un carcinoma (tumore maligno).

Le cause che conducono ad un disturbo della ghiandola tiroidea che sfocia nell’ipertiroidismo sono:

  • immunoglobuline e vari fattori di crescita;
  • molecole che mimano l’azione degli ormoni tiroidei (ftalati presenti nella plastica, resorcinolo, paraclorobenzene, ovvero un solvente utilizzato nella produzione di erbicidi, vernici, ecc, BFR ovvero ritardanti di fiamma);
  • eccesso di iodio nella dieta.

I sintomi più evidenti sono:

  • dimagramento (90% dei casi);
  • cambiamenti del comportamento;
  • vomito e diarrea;
  • aumento della sete e della frequenza di urinazione;
  • aumento della fame;
  • alterazioni del ritmo respiratorio;
  • aumento della frequenza cardiaca.

Gli effetti sull’apparato cardiovascolare e renale sono importanti. In caso di dubbio o sospetto della patologia, è quindi utile recarsi immediatamente presso il medico veterinario di fiducia. A una diagnosi tempestiva, infatti, è legata una buona prognosi: il gatto riesce a condurre una vita regolare con un trattamento farmacologico quotidiano che prevede la somministrazione orale di una o più compresse.

Controlli regolare e una buona alimentazione, infine, possono essere un ottimo aiuto per la prevenzione.


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Eventi

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VetOnLine24



Da oggi per i nostri amici animali arriva VETONLINE24 la prima piattaforma al mondo di “telemedicina veterinaria” dove l’ambulatorio diventa “virtuale” e dove il medico fornisce video consulenze professionali e affidabili per i padroni dei pazienti in qualsiasi luogo e a qualsiasi ora h24.

Si chiama VETONLINE24, il primo “pronto soccorso veterinario” virtuale per icodici bianchi che oltre ad offrire un consulenza veterinaria di alta qualità riesce anche ad integrare le visite in studio, così da offrire un servizio ancora più completo per la tutela  della salute degli animali 24 ore su 24. Come funziona? E’ sufficiente avere un personal computer dotato di webcam, un  tablet o  uno smartphone su cui poter scaricare l’APP gratuita. Una volta connessi compare una schermata con la lista dei medici veterinari e chi di loro è disponibile. Se si desidera effettuare la chiamata sarà sufficiente completare il percorso effettuando una registrazione con i dati richiesti e con l’acquisto di “crediti” che permetteranno di onorare la consulenza. Successivamente si sceglie il professionista e parte la videochiamata.

Tra i medici che aderiscono a VETONLINE24 sono presenti  veterinari specializzati in diverse discipline che possono interessare i cani e i gatti (dermatologi, oculisti, comportamentalisti, omeopati) così come medici che si occupano di animali non convenzionali (esotici, conigli, volatili) ed altri ancora che esercitano la loro professione al servizio di grossi animali (bovini, ovini, cavalli).

Tutti i veterinari del circuito sono professionisti esperti e accreditati, pronti a rispondere alle esigenze dei pazienti ed eventualmente a dirottare le situazioni più critiche presso gli ambulatori specializzati o i pronto soccorso. I proprietari degli animali potranno in questo modo avere garanzia di un servizio professionale, specializzato e di altissima qualità, potendolo utilizzare anche come “second opinion” la dove sia già stata fatta una prima consulenza.

L’aspetto più innovativo della piattaforma VETONLINE24 è, quindi, la modalità con cui si tutela la salute dell’animale: attraverso l’integrazione con le strutture sanitarie e con la creazione di una rete di collaborazione medico paziente unica nel panorama mondiale.


COLLEGATI AL SITO



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Parto cesareo:
quando è necessario?

autori:

Marianna Filareto, Medico Veterinario in Roma
Specializzanda in Malattie infettive, profilassi e polizia veterinaria

Domenico Tomei, Medico Veterinario in Roma
Chirurgia generale e Chirurgia oncologica


Il parto è un un processo naturale che la maggior parte dei nostri amici a quattro zampe riesce ad affrontare anche da sola; tuttavia, esso rappresenta un fattore molto stressante, sia per la futura mamma che per il proprietario, e in alcuni casi possono esserci complicazioni che richiedono la presenza del veterinario.

Come ci accorgiamo che la cagna si prepara al parto?

Il cane ha un periodo di gestazione di circa 63 giorni, ma può variare in base alla data di effettiva ovulazione, per questo convenzionalmente la durata della gravidanza è prevista tra i 58 e i 67 giorni dal momento dell’accoppiamento. La diagnosi ecografica di gravidanza è possibile a partire dal 21° giorno.

Il primo segnale del parto è puramente fisiologico e consiste in un abbassamento della temperatura corporea dai 38°-39° ai 37,5°, che si verifica tra le 18 e le 24 ore prima. Questo abbassamento è legato alla caduta del tasso di progesterone ematico, condizione essenziale perché s’inneschi il parto. A questa fase segue il rilassamento della cervice e l’inizio delle contrazioni uterine, che può durare dalle 6 alle 12 ore (nelle cagne al primo parto anche di più). In questa fase la cagna è nervosa, rifiuta il cibo, cerca di scavare in un luogo tranquillo scelto per partorire, nell’intento di ricavarsi una cuccia. Segue, quindi, la fuoriuscita di una sacca piena di liquido, il sacco allantoideo, e inizia il vero e proprio parto con l’espulsione dei feti; questa fase dura dalle 3 alle 6 ore e, in casi eccezionali, anche 24 ore. I cuccioli espulsi sono racchiusi in un singolo sacco amniotico che generalmente viene rotto dalla madre; se questo non dovesse avvenire, bisogna procedere manualmente alla rottura, avendo cura di pulire bene gli occhi e la bocca del cucciolo.

Quali possono essere le complicazioni?

Le complicazioni maggiori sono legate alla taglia, alla razza o a particolari situazioni legate alla madre o allo sviluppo anomalo dei feti. Le razze predisposte sono soprattutto il Boston Terrier e i Bulldog Francese e Inglese, in quanto, trattandosi di razze brachicefale, ovvero razze che hanno la testa di dimensioni notevolmente superiori al resto del corpo, i cuccioli fanno difficoltà a passare attraverso il canale del parto. Altre razze a rischio sono Mastini, Scottish terrier, Bull terrier nano, Pointer tedesco a pelo ruvido, Clumber spaniel.

Altri fattori di rischio sono rappresentati dal numero dei feti (meno di 3 e più di 8) e dall’essere cagne nullipare, ossia che non hanno mai partorito, con più di 6 anni d’età. In entrambi i casi ci si può trovare di fronte a: anamnesi di inerzia uterina (mancanza di contrazioni), anomalie anatomiche vestibolo-vaginali, malposizionamento/malpresentazione fetale, disordini metabolici in tarda gestazione (carenza di calcio, soprattutto nelle piccole taglie, ed ipoglicemia) e soprattutto stress fetale.

L’ossigenazione dei feti è garantita da due fattori: uno dipendente dalla frequenza cardiaca dei cuccioli e l’altro, di pertinenza materna, rappresentato dalla pressione ematica. Una valutazione fondamentale a fine gestazione è la misura della frequenza cardiaca fetale. Quest’ultima, in condizioni di normalità si aggira intorno a più di 200 bpm (battiti per minuto). Frequenze cardiache al di sotto dei 200 bpm indicano già una situazione di stress fetale, e al di sotto dei 160 bpm si deve optare per il cesareo d’urgenza.

Quando viene proposto un parto cesareo?

Il parto cesareo deve essere proposto al momento giusto, né troppo presto né troppo tardi, dopo aver identificato accuratamente i fattori di rischio di distocia, ossia di un parto difficile dove la madre non riesce a espellere i feti, cosa che può comportare ipossia (carenza di ossigeno) e morte fetale. I fattori determinanti che ci fanno optare per un taglio cesareo d’urgenza sono:

  • preparazione al parto che si prolunga oltre le quattro ore senza espulsione dei feti;
  • contrazioni molto intense della durata di 20-30 minuti o, al contrario, molto deboli e prolungate per diverse ore, cui non segue l’espulsione dei feti;
  • quando intercorrono più di due ore tra l’espulsione di due feti;
  • presenza di un feto bloccato nel canale del parto, visibile anche solo parzialmente;
  • espulsione di feti morti;
  • scolo verdastro prima dell’inizio del parto, che può essere indice di un precoce distacco della placenta;
  • evidenti segni di malessere da parte della gestante;
  • valori di frequenza cardiaca fetale inferiori a 160 bpm.

In cosa consiste il parto cesareo?

Il taglio cesareo consiste nell’incisione della parete addominale e dell’utero, con estrazione dei feti cui, a discrezione del proprietario, può seguire o meno l’ovaristerectomia (asportazione di utero e ovaie). Vista la compressione esercitata dall’utero gravido sul diaframma, risulta essenziale la pre-ossigenazione del paziente per almeno dieci minuti prima di indurre l’anestesia generale e, quindi, prima di iniziare la chirurgia. Dopo l’estrazione dei cuccioli, è di estrema importanza la rianimazione neonatale: i cuccioli man mano vengono puliti e massaggiati per stimolare la respirazione, il che può richiedere anche mezz’ora. Di estrema importanza è l’utilizzo di un’incubatrice in grado di assicurare ai nuovi nati per tutto il periodo che passerà dalla nascita al ricongiungimento con la neo mamma le giuste condizioni di temperatura. Il ricongiungimento non dovrebbe avvenire finché la cagna non abbia completamente smaltito gli anestetici somministrati per il parto e sempre sotto stretta sorveglianza per le prime 24 ore. È importante assicurarsi che la madre accetti i suoi cuccioli, anche se questo può richiedere anche 48 ore, tempo necessario affinché i suoi ormoni comincino a funzionare regolarmente.


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