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Il prurito: cause, diagnosi e terapia


Autore: Cinzia Montagnoli, Medico Veterinario in Roma


Il prurito può essere definito come la sensazione che suscita il desiderio di grattarsi, masticarsi o dare inizio ad altri comportamenti traumatici. Il prurito può essere causa di leccamento, masticazione, sfregamento, rimozione di peli, irritabilità e perfino di modificazioni della personalità (mancanza di tolleranza, comportamento aggressivo). La sensazione del prurito viene indotta da mediatori chimici presenti, ad esempio, nella saliva degli artropodi, nel veleno, nei batteri e miceti. A contatto con la cute, attraverso una rete finemente ramificata di terminazioni nervose, gli impulsi sensoriali vengono trasmessi al sistema nervoso centrale che a sua volta trasmette la sensazione del prurito. Alcune malattie cutanee si verificano più comunemente negli animali giovani, come la rogna sarcoptica e la demodicosi, mentre altre dermatosi si osservano più frequentemente in animali di media età o anziani, quali ad esempio la dermatite atopica, l’allergia alimentare e la piodermite. Sembrano esserci anche delle predisposizioni di razza. Ad esempio il Golden retriever, Dalmata e piccole razze terrier sono maggiormente esposte allo sviluppo di dermatite atopica, nel West Highland è più elevato il rischio di dermatite da Malassezia e lo Shar Pei sembra predisposto alla dermatite atopica, allergia alimentare, piodermite e demodicosi.

Cause comuni di prurito

In generale le cause più comuni di prurito sono:

  • l’allergia al morso di pulci (più frequente nel cane);
  • malattie cutanee da ectoparassiti (rogna sarcoptica, demodicosi, ecc.);
  • dermatofitosi;
  • piodermite;
  • allergia o intolleranza al cibo;
  • dermatite atopica;
  • dermatite da contatto;
  • eruzione da farmaci.

Molte malattie cutanee pruriginose si presentano con un aspetto visivo simile, è molto importante quindi una corretta e puntuale anamnesi ai fini della diagnosi. I dati fondamentali sono quelli relativi a dieta, ambiente, impiego dell’animale, cura della cute a casa, recenti esposizioni, presenza o assenza di prurito in altri animali o persone che vivono nello stesso ambiente. Inoltre, al veterinario possono risultare utili la sede iniziale di sviluppo delle lezioni cutanee, la loro insorgenza e progressione, l’intensità del prurito, la stagionalità e la risposta o mancanza di risposta a una precedente terapia.

Come fare diagnosi

Sulla base delle diagnosi differenziali più probabili, vengono selezionate procedure diagnostiche spesso indispensabili per emettere una diagnosi certa. Queste sono:

  • raschiati cutanei;
  • citologia esfoliativa;
  • esame delle feci;
  • biopsia cutanea;
  • colture micotiche;
  • dieta a eliminazione per l’identificazione delle allergie;
  • test intradermico in caso di sospetta dermatite atopica;
  • esami sierologici.

In base alla diagnosi, la terapia sarà basata sia su farmaci da somministrare per via orale che, molto spesso, su terapia topica aggiuntiva con shampoo ed emollienti o risciacqui antipruriginosi.


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Gengivite e Parodontite. Prevenzione e detartrasi

autore:

Antonio Santamaria, Medico Veterinario in Roma


I segnali che devono far preoccupare i proprietari della salute orale dei propri animali sono diversi: alito pesante (alitosi), gengive arrossate e sanguinanti, denti gialli e macchiati, perdita di saliva dalla bocca, prurito nella zona del muso, difficoltà da parte dell’animale ad alimentarsi. Tutti questi sintomi sono associati a gengivite e parodontite, due malattie causate molto spesso dal semplice accumulo incontrollato di tartaro dentale.


Che differenza c’è tra gengivite e parodontite?

La gengivite insorge quando l’accumulo della placca dentale (deposito di batteri sullo smalto dei denti), si aggrava cominciando a formare il tartaro dentale. In questo stadio la gengivite è ancora reversibile e può essere curata semplicemente rimuovendo il tartaro. Persistendo, invece, il tartaro causa l’insorgenza della parodontite, che è irreversibile ed è caratterizzata da retrazione gengivale, perdita dell’osso di supporto per i denti e alterazioni delle loro radici. Tutto ciò può sfociare in una perdita totale dei denti e/o complicarsi con la formazione di ascessi e fistole, molto dolorosi.

La prevenzione è sempre la via migliore.

Visite regolari dal veterinario sono necessarie per identificare i primissimi segni della malattia, quando ancora è possibile intervenire, e per instaurare sin da cuccioli dei piani d’igiene orale.


Che cosa è la detartrasi?

La detartrasi è la rimozione meccanica del tartaro. Tale pratica è attuabile solo dal veterinario, che la propone coscienziosamente nel momento in cui, nel corso della visita accurata, rileva la presenza eccessiva di tartaro. La detartrasi migliora nettamente le condizioni di salute sia della bocca sia di altri organi e apparati, anche quando si è già instaurata la parodontite. Il consiglio è che gli animali nel corso della loro vita siano sottoposti a cicli di detartrasi, esattamente come noi ciclicamente prenotiamo una seduta di pulizia dentale.

A differenza delle persone, questa pratica deve essere svolta in anestesia generale; sia per essere certi che l’animale non si muova durante il trattamento, sia per evitargli i fastidi e la paura che noi tutti conosciamo durante la pulizia dentale. I rischi del trattamento sono molto contenuti e riguardano solo le accortezze necessarie durante l’anestesia. Dura pochi minuti e viene utilizzato un ablatore piezoelettrico, simile a quello utilizzato dal nostro dentista.


La prevenzione è fondamentale

Trascurare l’igiene orale, così come per noi, può voler dire andare incontro a patologie gravi e irreversibili che andrebbero poi affrontate con complicate terapie mediche e chirurgiche. Prevenire le malattie del cavo orale del cane e del gatto è fondamentale, ed è una questione di rispetto nei confronti dei nostri animali. È doveroso, infatti, consentire sempre ai nostri amici animali una vita dignitosa e priva di sofferenze, per quanto possibile.


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Leishmaniosi nel cane:
cos’è e come prevenirla


Autore: Francesca Calamusa, Medico Veterinario in Roma


Spesso, soprattutto negli ultimi anni, si sente parlare di leishmaniosi. Purtroppo, ancora, non tutti i proprietari dei nostri amici a quattro zampe, sono a conoscenza della gravità della malattia e dell’importanza della sua prevenzione.

La leishmaniosi è una malattia parassitaria che colpisce prevalentemente il cane e i roditori, che ne rappresentano il serbatoio principale, mentre il gatto e altri mammiferi costituiscono ospiti accidentali. È una zoonosi, ovvero una malattia trasmissibile all’uomo, ma il contagio diretto da cane a uomo è assolutamente escluso, in quanto l’unico modo per essere infettati dal parassita è attraverso la puntura dell’insetto volante. Fortunatamente, però, la malattia nell’uomo è meno grave, anche grazie alla capacità della medicina di curarla attraverso farmaci che consentono la completa e totale guarigione.

Nel cane, invece, è una malattia molto grave, spesso mortale, ad andamento il più delle volte cronico, soprattutto quando non si manifesta in modo eclatante, il che la rende di difficile diagnosi. Inoltre, non essendoci un farmaco capace di eliminare completamente il parassita, questo rimane infettante e presente all’interno dell’organismo del cane per tutta la sua vita. Da qui l’importanza di cercare di prevenirne l’infezione.

La malattia è causata da un protozoo, Leishmania infantum, che si trasmette al cane attraverso la puntura di un insetto ematofago, il flebotomo o pappatacio, simile ad una zanzara, molto piccolo e silenzioso durante il volo, che si distingue per una peluria giallastra sul corpo. Quando il flebotomo punge un animale infetto per cibarsi, ingerendo il sangue, assume il parassita leishmania, che si moltiplica al suo interno (impiega dai 4 ai 20 giorno per diventare infestante) e si deposita nell’apparato buccale del flebotomo pronto per reinfettare altri animali con un successivo pasto di sangue. Una volta trasmessa la Leishmania all’interno del circolo sanguigno, questa viene inglobata dai macrofagi e da altre cellule del sistema immunitario, all’interno delle quali il parassita si replica e ne causa la rottura con liberazione di altre forme larvali che libere nel torrente sanguigno, sono pronte, attraverso il successivo pasto di sangue di un altro flebotomo, a cominciare un altro ciclo.


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Il carcinoma squamocellulare felino

autore:

Autore: Marianna Filareto, Medico Veterinario in Roma
Specializzanda in Malattie infettive, profilassi e polizia veterinaria


Nel gatto, il carcinoma squamocellulare è una neoplasia che si manifesta come una lesione crostosa e nerastra a livello di aree ipopigmentate del piano nasale, delle pinne auricolari o del canto mediale dell’occhio, le aree più esposte alle radiazioni solari. Il rischio di sviluppare questa patologia è maggiore nei gatti a mantello bianco, anche se i gatti con mantello di colore diverso dal bianco spesso vengono portati a visita con lesioni da carcinoma squamocellulare a carico di sedi corporee non pigmentate e scarsamente coperte da pelo. Sono a rischio anche i soggetti che vivono in casa, soprattutto quelli che stanno a lungo vicino alle finestre, il cui vetro non blocca completamente i raggi ultravioletti. Sembrano essere particolarmente predisposti i gatti positivi alla FIV e alla FeLV.

Le cause

La causa principalmente riconosciuta è l’esposizione ai raggi UV solari anche se pare esserci una correlazione con infezioni da papillomavirus, come nell’uomo, anche se ancora si tratta di una ipotesi controversa.

Manifestazioni cliniche

Le lesioni hanno una distribuzione classica. In più dell’80 per cento dei casi hanno sede sulla testa, di solito a livello di punta del naso, orecchie e palpebre, tutte aree scarsamente ricoperte da pelo. L’età media dei gatti colpiti è di 11 anni, anche se sono state evidenziate anche in soggetti di appena un anno di vita. Inizialmente, le lesioni sono lievi e appaiono come croste iperplastiche, arrossate o eritematose e poi evolvono verso lo stato neoplastico con ulcerazione e distruzione del tessuto circostante. Possono essere indolenti anche per lunghi periodi. Le lesioni iniziali possono migliorare o peggiorare a seconda del grado di esposizione alla luce solare.

Diagnosi

Riconoscere le lesioni e effettuare immediatamente un esame bioptico, per confermare la diagnosi, è l’unico fattore importante in grado di garantire un esito favorevole, in quanto, se diagnosticati tempestivamente, possono essere trattati. Questi tumori sono dotati di aggressività locale e tende a metastatizzare lentamente, fino a raggiungere i linfonodi regionali e i polmoni. Prima di instaurare una terapia definitiva, è necessario stabilire lo stadio evolutivo del tumore (mediante esami radiografici del torace, aspirazione di linfonodi regionali e valutazione dei risultati di test ematologici, profilo biochimico e analisi delle urine). Verranno quindi classificati in:

  • Tis: carcinoma in situ, quando non oltrepassa la barriera cutanea
  • T2: tumore di 2-5 cm e/o con minima invasione
  • T3: tumore di >5 cm e/o con invasione sottocutanea
  • T4: tumore di qualsiasi dimensione con invasione delle strutture circostanti

Terapia

Nei gatti colpiti da carcinoma squamo-cellulare, il successo del trattamento dipende dalla tempestività della diagnosi e delle misure terapeutiche. Il trattamento del carcinoma squamocellulare del padiglione auricolare solitamente comporta la resezione chirurgica della parte. Quelle localizzate sulla testa, sull’occhio o sul naso, sono difficili da trattare chirurgicamente data la scarsità di cute lassa a tale livello, ma possono rappresentare una sfida chirurgica per l’ottenimento del risultato terapeutico. Un’altra tecnica di rimozione è la terapia fotodinamica (PDT), che consiste nella somministrazione endovena di una sostanza dotosensibilizzante che si distribuisce prevalentemente al tumore; dopo alcune ore, l’area del tumore viene illuminata con una luce laser che attiva il fotosensibilizzatore, danneggiando le cellule tumorali.

Se le lesioni sono piccole o pre-cancerose e diagnosticate tempestivamente, si possono usare farmaci locali applicati direttamente sulle lesioni.

Per gli stati 3 e 4, invece, spesso non basta la chirurgia a risolvere il problema. Può essere necessaria la radioterapia, i cui costi sono molto elevati, chemioterapia intralesionale o sistemica.

Prevenzione

Numerosi studi hanno dimostrato che il carcinoma squamocellulare è piuttosto comune nel gatto. È importante che i proprietari dei gatti bianchi, ma anche di gatti colorati, attuino delle misure preventive. In primis, bisogna evitare che il gatto venga esposto alla luce solare diretta, magari evitando che esca nelle ore di luce; è importante che si prenda l’abitudine a spalmare creme solari sulle orecchie e sul piano nasale, il che fornisce un certo grado di protezione. La precocità nel riconoscere, diagnosticare e trattare l’affezione comporta una prognosi migliore, per cui si consiglia di portare subito a visita gatti predisposti e non a questi tumori per fare una visita approfondita.


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Collare vs pettorina

autore:

Autore: Maurizio Albano, Medico Veterinario in Roma
Chirurgia generale e Chirurgia ortopedica


Negli ultimi anni c’è stata un’impennata nell’utilizzo della pettorina rispetto al collare. L’idea è che sia meno dannosa e ideologicamente meno oppressiva di quest’ultimo. Ma alcuni veterinari specializzati in medicina dello sport hanno notato che alcune pettorine creano delle limitazioni al movimento articolare in quei soggetti che le indossano costantemente, e da qui è nata la preoccupazione che le imbracature possano influire sull’andatura dei cani. Ricercatori del Regno Unito hanno esaminato la questione confrontando anche i diversi modelli delle pettorine. Ne esistono due categorie principali:

  • quelle che non sono considerate restrittive per i movimenti degli arti anteriori, che hanno una fascia toracica a Y;
  • quelle considerate restrittive, che hanno una cinghia sul petto orizzontalmente.

Nello studio fatto, nove cani sono stati messi sul tapis roulant e fatti muovere secondo due andature diverse, passeggiata e trotto, indossando diversi tipi di pettorina: un’imbracatura non restrittiva Mushing Harness X-back; un’imbracatura restrittiva Easy Walk. I ricercatori hanno collocato dei marcatori sui lati delle zampe dei cani e hanno utilizzato delle telecamere per misurare l’angolo della spalla quando l’arto anteriore era in massima estensione (in direzione craniale). Sono stati confrontati i diversi tipi di pettorine, restrittiva e non, tra di loro e con il classico collare, e alcuni risultati sono stati inaspettati.

Risultati dello studio

I risultati dello studio hanno messo in evidenza che:

  • i cani che indossano solo un collare hanno significativamente più estensione della spalla in ambedue le andature, passeggiata e trotto, rispetto ai cani che indossano entrambi i tipi di imbracatura;
  • i cani che indossano pettorine non restrittive hanno un movimento della spalla significativamente inferiore nell’estensione rispetto ai cani che indossano pettorine restrittive in entrambe le andature.

I ricercatori hanno anche esaminato l’effetto dei pesi aggiunti all’imbracatura, per simulare il cane che tira contro l’imbracatura. I pesi sono stati utilizzati in modo che l’imbracatura fosse tirata su e lontana dalla schiena del cane, con un angolo di circa 45°, proprio come verrebbe tirata l’imbracatura se una persona stesse camminando dietro al cane. I risultati, in questo caso, hanno dimostrato che:

  • i cani che camminano utilizzando pettorine non restrittive con pesi hanno significativamente meno estensione della spalla rispetto ai cani che indossano pettorine non restrittive senza pesi o rispetto ai cani che indossano imbracature restrittive con o senza pesi;
  • cani al trotto, utilizzando pettorine non restrittive con i pesi, hanno estensione della spalla significativamente inferiore rispetto ai cani che indossano pettorine restrittive con o senza pesi.

Una limitazione dello studio citato è che il loro sistema non è progettato per misurare la lunghezza del passo o della falcata o il tempo di presa di posizione, che possono influenzare l’estensione della spalla. Tuttavia, uno studio precedente ha esaminato questi parametri dimostrando che sia una pettorina non restrittiva che una restrittiva alterano la lunghezza del passo rispetto agli stessi cani che indossano solo un collare.

Perché l’imbracatura non restrittiva ridurrebbe l’estensione della spalla più dell’imbracatura restrittiva?

La pettorina non restrittiva non è perfettamente adattata alla morfologia del cane. Le cinghie che si trovano davanti alla scapola premono sulla stessa impedendone i movimenti anteriori (estensione). Una pettorina non restrittiva deve essere montata in modo che sia stretta intorno al collo del cane. In questo modo, quando il cane tira, la fascia toracica a forma di Y applica pressione al manubrio (la parte anteriore dello sterno) e le cinghie sul lato del collo non devono scivolare indietro per appoggiarsi alla scapola. Per la maggior parte dei cani, questo significa che la parte del collo dell’imbracatura deve essere regolabile e non deve scivolare sulle scapole.

In conclusione

Le imbracature sono ancora un’opzione sicura per i cani che hanno patologie come il collasso tracheale, paralisi laringea, malattia ostruttiva delle vie aeree o sindromi neurologiche. Però, come dimostrano i due studi, il buon vecchio collare risulta la scelta migliore per il rispetto della mobilità del cane rispetto alle due forme di pettorine attualmente in commercio per molti cani. Tuttavia, ricordiamo che è importante educare i cani a camminare senza tirare al guinzaglio. Se si sceglie di utilizzare un’imbracatura non restrittiva, bisogna assicurarsi che la stessa sia ben montata e stretta intorno al collo del cane, in modo che non scivoli indietro e non faccia pressione sulle spalle del cane. Se si sceglie di utilizzare un’imbracatura restrittiva, è necessario assicurarsi che sia montata in modo flessibile, quindi che possa scivolare via dalla spalla del cane, se necessario.


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Malattia cronica
della valvola mitrale


Autore: Manuel Felici, Medico Veterinario
Specialista in patologia e clinica degli animali d’affezione, perfezionato in cardiologia dei piccoli animali.


La malattia cronica della valvola mitrale rappresenta la patologia cardiaca acquisita più frequente nel cane. È determinata da una progressiva degenerazione fibrosa della valvola mitrale che può provocare prolasso della valvola con insufficienza mitralica.

La valvola mitrale separa e regola i flussi sanguigni nei due settori (atrio e ventricolo) sinistri del cuore, a una sua alterazione consegue quindi un rigurgito di sangue nell’atrio sinistro. Quando questo è di grado lieve, il cuore riesce a mettere in atto una serie di meccanismi compensatori per cui il cane non mostra nessun segno di scompenso; all’aumentare però della quota di rigurgito, nell’atrio sinistro cambiano gli equilibri pressori all’interno delle camere cardiache e si riduce inevitabilmente la gittata cardiaca, con possibile alterazione della normale frequenza cardiaca.

Considerando l’alta prevalenza di questa malattia nel cane ed essendo la causa più frequente di scompenso cardiaco in questa specie, la sua diagnosi precoce si rende imperativa.

In relazione alla predisposizione di razza (generalmente ad essere più colpite sono le razze di piccola taglia), dall’esame clinico e dalle indagini di diagnostica per immagini (radiologia ed esame ecocardiografico) i cani vengono classificati in quattro classi di gravità.

Alla visita clinica, l’unica alterazione che si può riscontrare inizialmente è un soffio cardiaco sistolico apicale sinistro, di intensità generalmente correlata alla gravità. La diagnosi, comunque, avviene esclusivamente mediante esame ecocardiografico che, integrato dall’esame color-Doppler, permette di studiare l’apparato valvolare e valutare il grado di rimodellamento delle camere cardiache, la percentuale di rigurgito, la sua velocità e le pressioni all’interno delle camere cardiache. Il tutto al fine di impostare un’adeguata terapia medica.

Vista l’iniziale fase completamente asintomatica, è sempre necessario non sottovalutare un soffio cardiaco riscontrato durante la visita clinica; spesso, infatti, quando compaiono i segni clinici della malattia, lo stadio è già molto avanzato.

Tra i segni clinici tardivi (di scompenso) più frequenti troviamo:

  • riluttanza al movimento;
  • affaticabilità;
  • tosse;
  • aumento della frequenza respiratoria (anche mentre il cane dorme).

In questa patologia, quindi, il binomio proprietario-medico veterinario è fondamentale, perché un proprietario attento riesce ad accorgersi di tutte queste alterazioni nel proprio cane e prontamente può condurlo in visita da uno specialista.

Lo scompenso cardiaco di questa malattia esita nell’edema polmonare, che rappresenta una vera e propria emergenza: il cane ha una progressiva difficoltà respiratoria che, se non trattata tempestivamente, può portarlo alla morte.


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Il colpo
di calore nel cane


Autore: Giulia Principi, Medico Veterinario
(Master di II livello in Nutrizione clinica del cane e del gatto)


Il colpo di calore sopraggiunge quando i meccanismi di termodispersione non possono far fronte a un aumento eccessivo della temperatura corporea.

In estate è un evento grave che può insorgere a causa delle alte temperature (per esempio, animali in automobile in sosta al sole o passeggiate nelle ore più calde).

Ci sono alcune condizioni che aumentano il rischio di insorgenza:

  • paralisi laringea;
  • sindrome brachicefalica;
  • patologie cardiovascolari.

Il colpo di calore conduce a una disfunzione multiorgano grave e alla morte se non trattato tempestivamente. La temperatura critica che porta a una disfunzione è 42,7°C, per l’instaurarsi di un danno termico con conseguente necrosi cellulare, ipossiemia e denaturazione delle proteine.

I segni clinici possono essere molteplici:

  • ansimazione;
  • ipersalivazione;
  • tachicardia;
  • tremori muscolari;
  • distress respiratorio;
  • mucose iperemiche;
  • cianosi

Durante il trasporto presso la struttura veterinaria più vicina si può promuovere la termodispersione del calore tamponando con dell’alcool i cuscinetti plantari, il cavo ascellare e la zona inguinale. Bisogna invece evitare di porre l’animale in acqua fredda e/o utilizzare ghiaccio poiché l’ipotalamo lo interpreterebbe come freddo inducendo vasocostrizione e dunque diminuendo la termodispersione, peggiorando la situazione.

In conclusione, evitare di lasciare gli animali all’interno dell’automobile, evitare lo sforzo intenso e le passeggiate nelle ore più calde.


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La Dermatofitosi, meglio conosciuta come tigna

autore:

Marianna Filareto, Medico Veterinario in Roma
Specializzanda in Malattie infettive, profilassi e polizia veterinaria


Vetrino di Microsporum canis al microscopio.
Vetrino di Microsporum canis al microscopio.

Le micosi sono patologie molto diffuse, anche se ancora sottodiagnosticate. La dermatofitosi è una dermatosi micotica causata da funghi filamentosi che digeriscono la cheratina. I generi più diffusi responsabili di questa patologia sono il Microsporum, il Trichophyton e l’Epidermophyton. In base al loro habitat, questi funghi si differenziano in:

  • Zoofili: vivono e si moltiplicano sul mantello animale. Tra questi i più comuni sono il Microsporum canis, che costituisce una zoonosi (è trasmissibile all’uomo) e colpisce il cane e il gatto; il Trichophyton mentagrophytes, che copisce roditori e cammelli; il Microsporum persicolor, che colpisce piccoli roditori e cani;
  • Geofili: vivono e si riproducono nel suolo; tra questi il più comune è il Microsporum gypseum, isolato nel cane e nel cavallo.
  • Antropofili: vivono e si riproducono sull’uomo; tra questi il più comune è il Trichophyton rubrun.

Le dermatofitosi sono più frequenti nei periodi caldi e in ambienti umidi; anche bagni eccessivi o eccessiva pulizia dell’animale possono predisporre all’insorgenza di una micosi, in quanto vengono rimosse le barriere cutanee naturali, come il sebo, le cellule morte superficiali, ecc. Nel gatto è stata ipotizzata una correlazione tra infezione dermatofitica e FIV e Felv, ma il dato potrebbe dipendere dal tipo di vita dei soggetti infetti, spesso randagi o conviventi in grandi collettività.

 

Trasmissione

Sono malattie contagiose, facilmente trasmissibili sia per via diretta, mediante contatto tra animali, sia per via indiretta, attraverso il contatto con superfici od oggetti contaminati dalle spore infettanti di questi organismi. Le micosi costituiscono importanti zoonosi, patologie che si possono trasmettere dagli animali all’uomo. Il contagio avviene in genere in soggetti stressati o immunodepressi, con scompensi endocrini, condizioni organiche carenziali, carenze vitaminiche, alterazioni del derma o in conseguenza di un calo delle difese immunitarie. Fattori predisponesti sono anche prolungate terapie antibiotiche o cortisoniche.
La trasmissione avviene mediante contatto diretto tra animale infetto e individuo recettivo, oppure mediante contatto indiretto attraverso le spore che sono forme di resistenza del fungo presenti nell’ambiente. Pertanto anche se sono stati registrati casi di guarigione spontanea, le dermatofitosi richiedono un trattamento tempestivo. Oggi la specie animale più recettiva è il gatto, importante in quanto facilmente può fungere da portatore asintomatico.
Inoltre, non solo gli animali possono trasmettere funghi all’uomo, viceversa le dermatofitosi dell’uomo possono essere trasmesse dal proprietario all’animale (dermatofiti antropofili).

Cause predisponenti

I soggetti più predisposti ad infezioni funginee sono:

  • soggetti molto giovani, che pare abbiano una concentrazione di acidi grassi inferiore nel sebo e quindi sono maggiormente predisposti, così come i soggetti più anziani che hanno un sistema immunitario meno efficiente;
  • soggetti debilitati da malattie concomitanti (FIV, Felv, ecc);
  • soggetti malnutriti;
  • soggetti che presentano parassitosi intestinali;
  • soggetti stressati o che vivono in condizioni di sovraffollamento: gattili, canili, colonie;
  • soggetti con immunodepressione indotta da farmaci: chemioterapia (anche nell’uomo) e terapie cortisoniche;
  • soggetti che presentano lesioni cutanee da morso di animali o lesioni da grattamento, ectoparassiti e lesioni indotte dal loro morso;
  • soggetti sottoposti a lavaggi troppo frequenti e con prodotti non idonei, come l’utilizzo troppo frequente di salviettine disinfettanti, prodotti che alterano il ph cutaneo, ecc.;
  • soggetti a pelo lungo (Yorkshire Terrier, gatti Persiani).

Sintomi

La dermatofitosi è una malattia pleomorfa e non può essere diagnosticata basandosi esclusivamente sui rilevamenti clinici. Il periodo di incubazione è di circa 2-4 settimane. Si tratta primariamente di una malattia follicolare e i principali segni clinici comprendono:

  • la perdita del pelo;
  • la produzione di scaglie e di croste;
  • prurito variabile.

Alcuni pazienti sviluppano la lesione tipica ad anello, caratterizzata dalla zona centrale alopecica e alla periferia papule follicolari e infiammazione. Le lesioni possono essere singole o multiple e localizzate in qualsiasi parte dell’animale, anche se le parti anteriori del corpo e la testa sembrano essere più frequentemente coinvolte. Nel gatto sono localizzate soprattutto a livello del dorso del naso, sui margini auricolari, sulla porzione distale degli arti e sulla coda. Nel cane si localizzano soprattutto su dorso del naso, aree perioculari, margine auricolare. Nel cane può svilupparsi una lesione particolare, detta “kerion”, lesione nodulare, edematosa e umidiccia, che trasuda materiale purulento.

In animali in buono stato di salute, la lesione è autolimitante e si risolve da sola nel giro di qualche settimana. Altri animali, però potrebbero avere una risposta esagerata all’infezione, una reazione di tipo allergico, del tutto soggettiva e che può determinare la gravità o meno e differenza di lesioni presenti da un soggetto ad un altro. Nel gatto, in particolare, è stata segnalata una forma particolare di dermatofitosi, detta “dermatofitosi granulomatosa sottocutanea”. Questo tipo di lesione sembra essere più comune nei gatti persiani e si è ipotizzato che possa essere associata ad un alterato stato immunitario. Il processo inizia come una follicolite micotica che evolve in una dermatite granulomatosa nodulare o diffusa a carico del derma profondo e del sottocute che prende il nome di pseudomicetoma.

Diagnosi

La diagnosi di dermatofitosi richiede, oltre all’esame fisico del paziente, anche di alcune procedure diagnostiche effettuate solo dal veterinario. Un metodo efficace è l’utilizzo di una lampada a raggi UV che, illuminando il pelo, può mettere in evidenza il 50% delle specie di M. Canis, ma non delle altre specie, che infestano cani e gatti, grazie alla loro capacità di luminescenza. Esiste, tuttavia, il rischio di falsi negativi.

Il veterinario può quindi procedere ad una analisi microscopica delle lesioni. Si procede con un prelievo dei peli e si osservano al microscopio.
Il test in assoluto più sicuro è un prelievo di peli da mettere in coltura in terreni specifici, non sempre presenti nelle strutture veterinarie. Il fungo impiegherà dai 7 ai 45 giorni, a seconda della specie, a crescere e poi potrà essere tipizzato in base alla forma e caratteristiche che presenta oltre a poter poi essere osservato microscopicamente.

 

Trattamento

La dermatofitosi, in condizioni di buona salute, spesso va incontro a remissione spontanea dei sintomi e si risolve completamente entro tre mesi. La risposta immunitaria può essere sufficiente al controllo delle lesioni cutanee causate dai dermatofiti.

Tuttavia, ogni qual volta si riscontri un’infezione da dermatofiti è raccomandato il trattamento antifungino per ridurre le possibilità d’infezione per altri animali e per l’uomo e la disseminazione delle forme infettanti nell’ambiente.

Il trattamento, topico o sistemico a seconda delle lesioni, viene improntato dal medico veterinario.

 

Trattamento ambientale e prevenzione

Il materiale infetto disperso nell’ambiente può rimanere infettante per molto tempo, anche per anni. La decontaminazione ambientale comprende un’accurata pulizia e l’applicazione di agenti disinfettanti nell’ambiente coinvolto. È buona norma isolare gli animali malati o con infezione sospetta; pulire, lavare e disinfettare accuratamente l’ambiente con soluzioni di ipoclorito di sodio allo 0,5% o formaldeide e lavare tappeti, moquette, divani con strumenti a vapore a 100°.

Per quanto riguarda l’uomo, nella prevenzione delle dermatofitosi, è di fondamentale importanza il rispetto delle norme igienico-sanitarie di base. Nei confronti delle dermatofitosi di origine zoonosica, molto efficace, ai fini della prevenzione del contagio, è l’igiene personale e, in particolare, lavarsi le mani con sapone, preferibilmente a base di zolfo, dopo ogni contatto con animali infetti o con oggetti con cui questi animali possono essere entrati in contatto.


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Filariosi nel cane e nel gatto: una malattia sottovalutata

autore:

Marianna Filareto, Medico Veterinario in Roma
Specializzanda in Malattie infettive, profilassi e polizia veterinaria


Le filarie sono nematodi, detti anche vermi cilindrici, che colpiscono il tessuto connettivo (subito sotto il derma e fortemente vascolarizzato) e il sistema circolatorio del cane e del gatto.

Lo sviluppo delle filarie

Per sviluppare a parassita adulto, le microfilarie necessitano di una fase di crescita in un dittero ematofago, ossia in un insetto che si nutre di sangue (come svariate specie di culicidi, zanzare), che funge da ospite intermedio. Assunte dalla femmina del dittero durante il pasto di sangue, dopo circa 24 ore le microfilarie si trasformano in larve primarie (L1); dopo circa 10 giorni le larve primarie si allungano e diventano larve di secondo stadio (L2); la muta a terzo stadio (L3) avviene in tredicesima giornata. Le L3 poi vengono inoculate in un altro ospite (cane o gatto) tramite saliva e migrano nel sottocute (per alcuni giorni) e fanno due mute, fino alla stadio L5, e passano in circolo; in 3-4 mesi raggiungono la sede definitiva (arteria polmonare) e qui diventano adulti infetti, maschi e femmine, che si accoppiano in 120 giorni. Il periodo completo che intercorre tra il momento dell’infestazione da parte del dittero e la maturità sessuale (detto tempo di prepatenza) è di 6 mesi, dopo di che i parassiti possono rimaner vitali e produrre microfiliarie fino a 5 anni. Le microfiliarie prodotte dalle femmine gravide, per un fenomeno di “tropismo centrifugo”, tendono a portarsi nei vasi periferici e, durante la migrazione, alcune di esse possono superare la barriera placentare e passare per via congenita dalla cagna ai cuccioli, dove comunque non possono diventare adulte, in quanto non hanno effettuato il passaggio nell’ospite intermedio. La Dirofilaria immitis è la più patogena, responsabile della filariosi cardiopolmonare del cane e del gatto, invece la Dirofilaria repens è responsabile di una forma sottocutanea.

Mentre nel cane le microfilarie possono sopravvivere fino a 7 anni, il gatto è considerato un ospite suscettibile, ma non ideale per il parassita, in quanto il carico parassitario è basso e la sopravvivenza limitata.

Nel nostro paese l’epicentro è rappresentato dalla pianura Padana, anche se, negli ultimi decenni, si è diffusa a macchia d’olio, probabilmente anche a causa dei frequenti spostamenti cui sono sottoposti i cani da caccia nel corso della stagione venatoria e dei viaggi di piacere sempre più frequentemente intrapresi in compagnia dei nostri amici a quattro zampe. Le aree più a rischio sono: Lombardia, Piemonte e Veneto meridionali, Liguria orientale, Toscana centro-settentrionale ed Emilia Romagna, anche se non mancano casi in altre zone della penisola.

La malattia nel cane

Ha un decorso cronico e asintomatico; i segni clinici insorgono gradualmente e possono essere rappresentati da tosse cronica, dispnea, debolezza, sincopi. Solo negli stadi avanzati possono essere presenti edema a carico dell’addome, degli arti, anoressia, perdita di peso, disidratazione. L’animale affetto da filariosi, dunque, manifesta una sintomatologia quasi del tutto equiparabile a quella dell’insufficienza cardiocircolatoria. Con il trascorrere del tempo si assiste infine al cattivo funzionamento del fegato e dei reni, seguito – in caso di mancato intervento – dal decesso dell’animale.

La malattia nel gatto

È in genere asintomatica per lungo tempo e può in seguito presentare una sindrome acuta, improvvisa, caratterizzata da tosse, dispnea, emottisi, vomito, perdita di peso, aumento della frequenza cardiaca, cecità, convulsioni, collasso e morte. I danni causati dalla presenza dei parassiti adulti nel ventricolo destro sono ancora più evidenti nella specie felina, considerate le ridotte dimensioni del cuore del gatto, per cui è sufficiente la presenza di poche filarie per provocare importanti segni clinici nel gatto rispetto al cane.

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Diagnosi e cura della filariosi

Basta un semplicissimo test ematico in grado di rilevare la presenza delle microfilarie nel sangue o degli antigeni delle femmine adulte in campioni di siero o sangue. Talvolta anche una radiografia può essere diagnostica, negli stadi più avanzati, che consente di visualizzare un aumento di diametro delle arterie polmonari, patterns polmonari anomali o, nei casi più critici, lo sfiancamento del cuore destro. Con l’ecocardiografia possiamo invece evidenziare direttamente la presenza di parassiti nel cuore, nelle arterie polmonari o nella vena cava.

Prima di intraprendere il trattamento specifico, tuttavia, è di fondamentale importanza effettuare una serie di indagini diagnostiche collaterali, al fine di valutare con accuratezza lo stadio di gravità della patologia. Sulla base dei risultati ottenuti, è poi possibile intraprendere il protocollo terapeutico più indicato, in funzione del singolo caso.

La terapia si fa in base alla classe del cane affetto da filariosi. Ci sono tre classi:

  1. Soggetti asintomatici: hanno bassa microfilariemia e basso titolo anticorpale. Si danno farmaci adulticidi e la prognosi è fausta, le complicanze dopo il trattamento sono scarse.
  2. Soggetti con sintomatologia lieve: tosse occasionale, scarsa resistenza agli sforzi, rumori respiratori, test antigenici medio alti. Si può fare trattamento con adulticidi a cui però vanno addizionati farmaci antitrombotici.
  3. Soggetti con grave sintomatologia: insufficienza cardiaca destra, dispnea, tosse anche a riposo, dimagrimento e test antigenici molto alti. Di solito questi soggetti non si trattano; possono essere sottoposti a una terapia sintomatica per tamponare l’insufficienza cardiaca.

Le terapie attualmente consigliate per il cane sono tre:

  1. Eliminazione degli adulti con Melarsonina Diidrocloruro: dopo un primo trattamento intramuscolo nella regione lombare, si ripete dopo 50-60 giorni usando la dose completa, con due somministrazioni a distanza di 24 ore. Si tratta di un farmaco epatotossico e gli adulti morti possono provocare tromboembolismo e interferire con i processi coagulativi, per cui si associa ad Eparina e Glucocorticoidi e si esclude l’esercizio fisico nei 30-40 giorni successivi il trattamento.
  2. Associazione di Ivermectina, ogni 15 giorni per 180 giorni, e Doxiciclina, per 30 giorni; questa recente associazione sembra avere un buon effetto adulticida e riduce il rischio di tromboembolismo; esercizio fisico vietato per l’intero periodo del trattamento. NB: nel Collie si usa Milbemicina.
  3. In casi gravi si può fare terapia chirurgica passando per la vena giugulare per eliminare i vermi adulti.

 

La terapia adulticida nel gatto non è consigliata per l’elevato rischio di tromboembolismo. Nei gatti con grave sintomatologia sono consigliati dosaggi elevati di Prednisolone.

Profilassi antiparassitaria

Per quanto riguarda la profilassi, la ricerca farmacologica ha messo a punto da una serie di principi attivi efficaci e scevri di controindicazioni, da somministrare ai nostri animali una volta al mese per tutta la durata della stagione delle zanzare (mediamente da aprile-maggio fino a ottobre-novembre). Assumendo il farmaco con regolarità, cani e gatti, anche se punti da zanzare portatrici di larve infestanti, non sviluppano la malattia. Ciò è particolarmente importante nella specie felina, per la quale – come già detto – non è possibile attuare un trattamento terapeutico mirato nei confronti della Dirofilaria immitis.

Prima di cominciare la terapia preventiva, però, è indispensabile accertarsi che i soggetti risultino negativi alla malattia, per cui è bene eseguire un esame del sangue prima di iniziare la profilassi. E se dovete spostare il vostro amico a quattro zampe in una zona endemica, è necessario iniziare il trattamento entro 30 giorni dall’esposizione.

Anche l’uomo può essere colpito. È principalmente la Dirofilaria repens la responsabile di infestazioni umane, con localizzazione prevalentemente sottocongiuntivale, polmonare, mesenterica e intradurali e possono essere confuse con forme tumorali. Tuttavia, l’infestazione nell’uomo è probabilmente sottostimata vista la scarsa conoscenza medica in ambito medico.

È importante ricordare che la filariosi può manifestarsi anche a distanza di mesi rispetto al momento del contagio, ed è bene perciò eseguire periodicamente un test di controllo presso il veterinario di fiducia.


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L’eliminazione impropria. Un “dispetto” del gatto in casa

autore:

Autore: Luca Buti, Medico veterinario in Roma
Master di II livello in Medicina Comportamentale degli animali d’affezione


Un “dispetto” molto comune dei nostri gatti che vivono in casa e l’eliminazione impropria, cioè l’emissione di urina e/o feci in luoghi diversi dalla lettiera, come possono essere il letto del proprietario, il divano, le scarpe lasciate a terra, gli abiti del proprietario, oppure su superfici piane, come tappeti, pavimento, box della doccia o verticali come zampe del tavolo, braccioli del divano, montanti delle porte o finestre.

Parlare di dispetto è sbagliato

Nell analizzare, questo particolare comportamento è doveroso, in primo luogo, fare una premessa: il gatto appartiene all’Ordine dei carnivori, al quale appartengono animali che hanno un sistema di apprendimento e comportamentale associativo; vale a dire che, a un particolare stimolo, essi associano una determinata risposta, che diverrà tanto più certa quante più volte, al presentarsi di quello stimolo, si associerà quella precisa risposta. Il concetto di dispetto, cioè compiere una determinata azione con l’intento di procurare un danno a qualcuno, invece presume un sistema di apprendimento e comportamentale sillogico, tipico della specie umana che, ad esempio, emetterebbe urina o feci in luogo improprio per costringere qualcuno a pulire o in segno di disprezzo. Quindi, parlare di “dispetto”, come spesso viene riferito dai proprietari, è assolutamente sbagliato e il concetto andrebbe rivisto.

Osservare il problema

Ciò premesso, analizziamo questa anomalia comportamentale in modo scientifico, seguendo quindi uno schema che tenga conto del pattern comportamentale tipico della specie gatto, articolato in:

  1. osservazione del problema;
  2. individuazione delle possibili cause;
  3. messa in atto dei rimedi.

Iniziamo con l’osservare e, se possibile, annotare il tipo di urinazione. Esistono tre tipi di urinazione:

  • Eliminazione urinaria normale (il gatto assume una posizione arcuata, la coda è orizzontale ed esce una grande quantità di urina tutta in una volta su una superficie orizzontale).
  • Cistite (infiammazione della vescica e delle vie urinarie): in questo caso la posizione sarebbe la stessa, ma l’eliminazione dell’urina è in piccole quantità, anche se a volte i maschi possono eliminarla in piedi.
  • Marcatura urinaria: in questo caso il gatto (di solito i maschi, ma anche le femmine possono farlo) sta in piedi, con la coda sollevata ed espelle una piccola quantità di urina spruzzandola, come se fosse uno spray, su una superficie verticale.

Osservando questi tre tipi di urinazione, balza subito all occhio che, prima di parlare di dispetto del nostro gatto, dovremmo rivolgerci al Medico Veterinario di fiducia che eseguirà la visita e tutti gli esami necessari per escludere che si tratti di un problema fisiologico.

Individuare possibili cause

Una volta appurato che non sussistono patologie del tratto urinario, occupiamoci dell’aspetto comportamentale. Nella ricerca delle cause consideriamo sostanzialmente due possibili eziologie; la prima è certamente la lettiera. Il tipo di sabbietta, troppo farinosa o troppo dura, polverosa o, come quasi sempre accade, cambiata troppo poco frequentemente e, quindi, maleodorante e spesso con residui di feci o urina agglomerata. Importante per il nostro gatto è anche la posizione della lettiera stessa nella casa: lui ama essere riservato nell’espletare i suoi bisogni, quindi una lettiera posta in un punto della casa di passaggio o in un terrazzo molto aperto, non riparato, non lo stimolerà particolarmente. Teniamo in considerazione anche le dimensioni e la forma della lettiera: un Main Coon non amerà di certo una lettiera di 15×15 cm, cosi come un gatto anziano, magari sofferente di artrosi, non prediligerà di certo una lettiera alta 30 cm.
La seconda possibile causa da considerare è lo stress, termine di sicuro spesso abusato, ma qui inteso come stato di non tranquillità dovuto a innumerevoli possibili cause; dall’assenza frequente del proprietario, all’impossibilità di raggiungere una meta ambita, come il giardino o il terrazzo ad esempio, alla presenza, magari iprovvisa e non gradita, di un altro animale o persona in casa, al cambiamento di un ambiente o dell’intero appartamento, ecc.

Mettere in atto il rimedio

Una volta individuata la causa, va da sé che i rimedi vadano correlati e siano atti a contrastare le possibili cause analizzate fin qui.
Questo schema terapeutico può prevedere delle correzioni ambientali e/o l’uso di farmaci che, è bene sottolinearlo, possono essere prescritti e posti in essere o somministrati esclusivamente da un Medico Veterinario specialista.
Se teniamo conto di tutto quanto finora esposto, di certo non vedremo più il nostro amato micio come un “dispettoso” irriconoscente essere che desidera complicarci la vita, ma come un essere assolutamente senziente che sta vivendo un disagio, fisico o “psichico”, così forte da spingerlo a fare quello che un micio in condizioni normali non farebbe mai: sporcare in un luogo improprio. Ricordiamoci sempre che tutti gli animali, in condizioni naturali, amano esser puliti e vivere in un ambiente pulito, e tra questi il gatto è di certo il capofila!


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